Pubblicato su politicadomani Num 88 - Febraio 2009

In libreria il nuovo romanzo di Pietro Treccagnoli
“Non sono mai partito”
Irridente e irriverente, cinico e volgare, il flemmatico Commissario Ascione è alle prese con un nuovo caso: scoprire la sorte toccata a Serafino, un giovane fricchettone scomparso misteriosamente nel ’78, dopo aver dichiarato di voler liberare Aldo Moro dalla prigionia delle Brigate Rosse

di Enzo Langellotti

Romanzo divertente e sfaccettato, Non sono mai partito. La missione del Commissario Ascione di Pietro Treccagnoli (Edizioni Cento Autori, 2008) si colloca nell’alveo di quei libri che utilizzano il genere come un pretesto, un rimando da lasciare in sottofondo. Si tratta, difatti, di un poliziesco atipico, dove persino il “delitto” e il “colpevole” sembrano mancare, e in cui la detection, l’azione investigativa, è affidata a un poliziotto in pensione - il commissario Ascione, appunto - pigro e riluttante, tanto da arrivare a rinunciare, per indifferenza e vanità, alla missione stessa.
Tutto inizia in un centro commerciale: Ascione, seduto da solo al tavolino di un bar, guarda e riflette, intrecciando pensieri sconci a considerazioni sociologiche sulla tv e il consumismo. A interrompere il suo “sublime” dialogo interiore, giunge un anziano signore che gli riporta alla mente la storia del suo povero figliolo, Serafino, scomparso nel ’78 senza lasciare alcuna traccia. Un po’ per noia e un po’ per curiosità, Ascione si mette in moto, provando a ricostruire, tassello dopo tassello, i dettagli di una vicenda persa nella memoria, in un passato nemmeno tanto remoto quanto colpevolmente dimenticato.
Prende il via, così, un viaggio che conduce il commissario Ascione dalla provincia napoletana fino a Roma, dai caffé di periferia alle stanze segrete di un “nuovissimo” tipo di reality show.
Un viaggio che è soprattutto interiore, di riscoperta di un rimosso collettivo, di un’epoca e di una generazione controversa, segnata certo dal sangue delle stragi, ma che aveva espresso, forse per la prima volta così chiaramente, anche il diritto di ogni individuo a dare forma concreta ai propri “sogni e bisogni”.
Un viaggio che si dipana su di un doppio binario narrativo, alternando la voce caustica e sboccata del commissario Ascione a quella di un secondo Io narrante, testimone anonimo degli eventi, che ricorda con nostalgia una stagione piena di futuro.
E di musica.
Sì, perché la musica costituiva il “paesaggio” imprescindibile in cui prendevano forma le speranze e le esperienze di tutti coloro che erano giovani nella metà degli anni Settanta. Non è un caso se Pietro Treccagnoli, più o meno velatamente, dissemina la narrazione di numerosissime citazioni musicali, canzoni italiane e straniere raccolte puntualmente nella playlist posta al termine del volume. Intorno a quelle note si condensavano, a un tempo, il senso di libertà e di appartenenza, gli ideali e la visione politica, la voglia di vivere e di divertirsi di tutta una generazione.
Giovani che credevano di poter fare la Rivoluzione. Magari restando in provincia. Alla periferia della Rivoluzione, dove tutto arrivava ovattato.
È di quei giovani che scrive Pietro Treccagnoli, fricchettoni “alla buona” persi nelle campagne partenopee, fatti di vino e fumo, che nei primi giorni del rapimento Moro, in quel lontano marzo del ’78, nemmeno si rendevano bene conto di quello che stava accadendo. Solo il più svitato del gruppo, Serafino, il protagonista assente di “Non sono mai partito”, dimostrò esatta coscienza del momento: “Io, io, devo andare a liberarlo. Moro non deve morire, ché sinnò fernesce tuttecòse” (p. 23).
Moro invece fu ucciso nel maggio ‘78. E con la sua morte finì un’epoca. Con la restrizione delle libertà individuali (conseguente alle nuove leggi antiterrorismo) tutta una generazione scomparve letteralmente e apparentemente nel nulla. Come Serafino.

 

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